Ecco perché i talenti spiccano il volo per Silicon Valley, Ingegneri, startupper, baby programmatori, imprenditori illuminati. Talenti che vogliono fare una start up. Se ne vanno dall'Italia. Prendono il primo volo per Silicon Valley, la Mecca della tecnologia. Qui trovano quello che in Italia non c'è: capitali, competenze, ottimismo. Non sono mossi dalla pura logica del profitto, seguono le logiche di chi vuole cambiare il mondo. E solo in Silicon Valley puoi trovare qualcuno che ti dà i soldi per farlo. «Arrivano tutti con un sogno da realizzare e sanno che non c'è altro posto al mondo in cui potrebbero farcela».
Fabrizio Capobianco, 42 anni, è tra i pionieri digitali di casa nostra. Per la Silicon Valley è partito 14 anni fa. Aveva 29 anni e in tasca l'idea di un software che sincronizza i dati su tutti i devices (avete presente la nuvola?). A San Francisco ha fatto una start up. Che ha avuto un successo enorme, anticipando di quasi 10 anni l'iCloud di Steve Jobs. Si chiama Funambol, si è guadagnata 30 milioni di euro di investimenti, ha milioni di utenti in tutto il mondo, dà lavoro a 80 persone.
E dopo la prima avventura, Capobianco ha fatta un'altra startup con una giovane socia italiana Emanuela Zaccone: TokTV, un'App vocale di social Tv che permette di condividere le partite di baseball o di calcio con i propri amici anche se sono lontani. Azienda americana, cuore italiano.
«Mi sono trasferito in Silicon Valley nel 1999. Perché è il luogo dove si fanno le grandi aziende hi-tech. Ci sono i capitali per partire (start), e le aziende che ti comprano (exit). In Italia i soldi sono pochi e nessuno compra startup. Me ne sono andato e lo rifarei. Ma in questi anni ho portato decine di milioni di dollari in Italia, che resta il centro di ricerche e sviluppo delle mie aziende. Perché qui crescono i migliori ingegneri del mondo. Bravi, sgobboni e creativi. L'Italia non deve trattenere i talenti. Deve farli partire ma poi creare tutte le condizioni per farli rientrare. Considerandoli speciali. Non gente che ha sputato nel piatto in cui mangiava. È cosi che indiani, cinesi e israeliani, dopo aver imparato tutto in Silicon Valley, tornano a casa loro e creano aziende straordinarie» aggiunge Capobianco.
Metà dei morti di oltre vent'anni fa, ma ancora oggi 6,6 milioni di bambini con meno di 5 anni - circa 18 mila al giorno - continuano a morire ogni anno per cause prevenibili. Nel 1990 erano 12,6 milioni, -17 mila in meno ogni giorno. In questo arco di tempo sono stati salvati per interventi e programmi sul campo circa 90 milioni di bambini. Il bilancio globale di decessi sotto i cinque negli ultimi due decenni - sottolinea l'Unicef - è impressionante: 216 milioni di bambini sono morti prima dei 5 anni tra il 1990 e il 2012, più della popolazione totale del Brasile, il quinto paese più popoloso del mondo. L'impatto diretto dell'impegno per porre fine alle morti infantili prevenibili è che la vita di 90 milioni di bambini è stata salvata - vite che sarebbero state perdute se i tassi di mortalità fossero rimasti ai livelli del 1990.
Un numero grosso modo equivalente all'attuale popolazione della Germania. In totale, la riduzione annua della mortalità si è accelerata: dall'1,2% (1990-1995), al 2,3% (1995-2000), al 3,7% (2000-2005), al 3,9% (2005 - 2012). La maggior parte dei bambini salvati vivono in Asia meridionale (38%) e Africa subsahariana (30%). Tuttavia nell'insieme di queste due aree geografiche si concentrano ancora i 4/5 dei decessi globali sotto i cinque anni. Dei 61 paesi ad alta mortalità, con almeno 40 decessi ogni 1.000 nati vivi nel 2012, 25 sono riusciti almeno a dimezzare i loro tassi di mortalità sotto i cinque anni tra il 1990 e il 2012 - tra cui 7 (Bangladesh, Etiopia, Liberia, Malawi, Nepal, Repubblica Unita di Tanzania e Timor Est), che avevano già ridotto il tasso di mortalità sotto i cinque anni di due terzi o più. Le principali cause di mortalità nei bambini sotto i cinque anni sono polmonite (17%); complicazioni per nascite premature (15%); complicazioni da parto (10%); diarrea (9%) e malaria (7%). Fra l'altro, quasi la metà dei decessi infantili sono attribuibili alla malnutrizione. I primi 28 giorni di vita rappresentano il periodo più vulnerabile per la sopravvivenza di un bambino; circa il 44% dei decessi sotto i cinque anni si verifica durante il periodo neonatale (cioè durante i primi 28 giorni di vita). Nel 2012, sono stati 2,9 milioni i neonati morti in tutto il mondo.
Un numero grosso modo equivalente all'attuale popolazione della Germania. In totale, la riduzione annua della mortalità si è accelerata: dall'1,2% (1990-1995), al 2,3% (1995-2000), al 3,7% (2000-2005), al 3,9% (2005 - 2012). La maggior parte dei bambini salvati vivono in Asia meridionale (38%) e Africa subsahariana (30%). Tuttavia nell'insieme di queste due aree geografiche si concentrano ancora i 4/5 dei decessi globali sotto i cinque anni. Dei 61 paesi ad alta mortalità, con almeno 40 decessi ogni 1.000 nati vivi nel 2012, 25 sono riusciti almeno a dimezzare i loro tassi di mortalità sotto i cinque anni tra il 1990 e il 2012 - tra cui 7 (Bangladesh, Etiopia, Liberia, Malawi, Nepal, Repubblica Unita di Tanzania e Timor Est), che avevano già ridotto il tasso di mortalità sotto i cinque anni di due terzi o più. Le principali cause di mortalità nei bambini sotto i cinque anni sono polmonite (17%); complicazioni per nascite premature (15%); complicazioni da parto (10%); diarrea (9%) e malaria (7%). Fra l'altro, quasi la metà dei decessi infantili sono attribuibili alla malnutrizione. I primi 28 giorni di vita rappresentano il periodo più vulnerabile per la sopravvivenza di un bambino; circa il 44% dei decessi sotto i cinque anni si verifica durante il periodo neonatale (cioè durante i primi 28 giorni di vita). Nel 2012, sono stati 2,9 milioni i neonati morti in tutto il mondo.