venerdì 29 novembre 2013

La fuga delle start up

Ecco perché i talenti spiccano il volo per Silicon Valley, Ingegneri, startupper, baby programmatori, imprenditori illuminati. Talenti che vogliono fare una start up. Se ne vanno dall'Italia. Prendono il primo volo per Silicon Valley, la Mecca della tecnologia. Qui trovano quello che in Italia non c'è: capitali, competenze, ottimismo. Non sono mossi dalla pura logica del profitto, seguono le logiche di chi vuole cambiare il mondo. E solo in Silicon Valley puoi trovare qualcuno che ti dà i soldi per farlo. «Arrivano tutti con un sogno da realizzare e sanno che non c'è altro posto al mondo in cui potrebbero farcela».

Fabrizio Capobianco, 42 anni, è tra i pionieri digitali di casa nostra. Per la Silicon Valley è partito 14 anni fa. Aveva 29 anni e in tasca l'idea di un software che sincronizza i dati su tutti i devices (avete presente la nuvola?). A San Francisco ha fatto una start up. Che ha avuto un successo enorme, anticipando di quasi 10 anni l'iCloud di Steve Jobs. Si chiama Funambol, si è guadagnata 30 milioni di euro di investimenti, ha milioni di utenti in tutto il mondo, dà lavoro a 80 persone.

E dopo la prima avventura, Capobianco ha fatta un'altra startup con una giovane socia italiana Emanuela Zaccone: TokTV, un'App vocale di social Tv che permette di condividere le partite di baseball o di calcio con i propri amici anche se sono lontani. Azienda americana, cuore italiano.

«Mi sono trasferito in Silicon Valley nel 1999. Perché è il luogo dove si fanno le grandi aziende hi-tech. Ci sono i capitali per partire (start), e le aziende che ti comprano (exit). In Italia i soldi sono pochi e nessuno compra startup. Me ne sono andato e lo rifarei. Ma in questi anni ho portato decine di milioni di dollari in Italia, che resta il centro di ricerche e sviluppo delle mie aziende. Perché qui crescono i migliori ingegneri del mondo. Bravi, sgobboni e creativi. L'Italia non deve trattenere i talenti. Deve farli partire ma poi creare tutte le condizioni per farli rientrare. Considerandoli speciali. Non gente che ha sputato nel piatto in cui mangiava. È cosi che indiani, cinesi e israeliani, dopo aver imparato tutto in Silicon Valley, tornano a casa loro e creano aziende straordinarie» aggiunge Capobianco.

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